In questa lettera, indirizzata all'amico Francesco Vettori, ambasciatore dei Medici a Roma, il Machiavelli comunica di avere scritto il suo trattato Il Principe e di destinarlo a Giuliano de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, che fu a capo della restaurata Signoria medicea fino alla morte, avvenuta nel 1516. Inoltre prega d'intercedere presso i Medici, in modo da poter tornare alla politica attiva. Infatti, il Machiavelli, dopo il ripristino della Signoria a Firenze, è costretto ad una vita inoperosa a San Casciano, dove è stato confinato dai Medici, diffidenti di lui per essere stato al servizio della Repubblica.
[...] In realtà, non c'è, nello scrittore fiorentino, alcun atteggiamento da voltagabbana, bensì la concezione, già tutta moderna, d'intendere la carica pubblica indipendentemente dalla persona che l'ha ricoperta. Egli è stato sempre leale al governo della Repubblica, lo sarà anche in seguito al servizio della Signoria, perché l'attività politica è al servizio dello Stato, e quest'ultimo, indipendentemente dalle persone che lo dirigono, è al servizio del bene pubblico. [...]
[...] Si avverte un certo compiacimento amaro nelle parole con cui il Machiavelli racconta di questo suo modo di trascorrere il tempo durante il confino a San Casciano. Egli non ha altra compagnia che questa gente volgare e si lascia andare, trascorrendo il suo tempo in quelle misere occupazioni. Ma si nota anche la rabbia per tali angustie e l'espressione volutamente volgare vuole rendere tutto il disprezzo dello scrittore per quella vita mediocre: rivolto intra questi pidocchi, traggo quel cervello di muffa, e sfogo questa malignità di questa mia sorta”. [...]
[...] pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui per è un'efficace forma con cui il Machiavelli vuole significare la sua passione per la politica. Dopo il Machiavelli che “s'ingaglioffa” durante il giorno con gente plebea, eccone qui uno tutto diverso, che la sera s'immerge nello studio, calandosi con lo spirito nelle grandi imprese di cui legge e dimenticando cosi le sue maniere e le sue sventure. Frutto di questo studio durante il tempo trascorso in quell'ozio forzato a San Casciano, è un opuscolo, De principatibus (Il Principe), nel quale sono raccolte le osservazioni ricavate da tanti anni di partecipazione alla vita politica attiva: “Dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subbietto, disputendo che cosa è principato, di quale spezie sono, come e' si acquistano, come e' si mantengono, perché e' si perdono”. [...]
[...] Lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513 In questa lettera, indirizzata all'amico Francesco Vettori, ambasciatore dei Medici a Roma, il Machiavelli comunica di avere scritto il suo trattato Il Principe e di destinarlo a Giuliano de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, che fu a capo della restaurata Signoria medicea fino alla morte, avvenuta nel 1516. Inoltre prega d'intercedere presso i Medici, in modo da poter tornare alla politica attiva. Infatti, il Machiavelli, dopo il ripristino della Signoria a Firenze, è costretto ad una vita inoperosa a San Casciano, dove è stato confinato dai Medici, diffidenti di lui per essere stato al servizio della Repubblica. [...]
[...] Ma la sera lo scrittore ha modo di riscattare la mediocrità della giornata. Bellissima è la metafora con cui allude al suo amore per i classici, che lo impegnano in alcune ore di studio, a significare il suo trasferirsi in un'altra dimensione della vita: “Venuta la sera, mi ritorno in casa, ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto e mi metto panni reali e curiali”. Cosi, rivestito degnamente, lo scrittore entra, attraverso lo studio dei classici e della storia antica, nelle corti degli antichi reggitori di Stati a discutere con loro di politica. [...]
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