Il trattato del Beccaria ebbe un grande successo, tanto che fu tradotto in molte lingue ed esercitò una forte influenza sullo sviluppo del pensiero giuridico borghese. Lo scrittore dimostrò come della maggior parte dei delitti, sia colpevole la società stessa: essa spinge il povero a rubare e uccidere. Il numero dei delitti continuerebbe senz'altro con l'instaurazione dell'eguaglianza di tutti di fronte alla legge.
[...] Questa fu reintrodotta dal regime fascista; provvide la democrazia ad abrogarla definitivamente all'indomani della Liberazione. [...]
[...] Perciò, a giudizio del Beccaria, la pena di morte va abolita e sostituita con la detenzione a vita, che ha il vantaggio d'incutere un ben più profondo terrore nell'animo degli uomini, in quanto è una pena che, privando il condannato del bene prezioso della libertà, si rinnova per ogni giorno di detenzione, costringendo il detenuto a riflettere sul male commesso. Il Beccaria pensa all'efficacia di una condanna ai lavori forzati, in cui il colpevole con il suo lavoro ripaga la società dei danni che le ha arrecato. [...]
[...] Non dimentichiamo che in passato le esecuzioni capitali, proprio per il loro presunto valore deterrente, avvenivano in pubblico: pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambedue questi sentimenti occupano più l'animo degli spettatori che non il salutare terrore che la legge pretende ispirare”. Invece, il sentimento dominante è solo il giusto timore della legge. Inoltre la pena di morte, per il suo carattere definitivo, esclude la gradualità nelle pene necessaria a dissuadere chi ha già commesso un reato dal perseverare o dal farne di peggiori. Il libro del Beccaria si mostrò efficace nel promuovere un miglioramento del sistema giudiziario in tanti Paesi d'Europa del Settecento. L'Italia cancellò nel 1889 dal Codice Penale la pena di morte. [...]
[...] Egli fa un discorso di razionalità giuridica, non di filantropia. Si chiede cioè se, ai fini di un'amministrazione razionale della giustizia, nonché di una maggiore efficacia nella prevenzione e repressione dei crimini, la pena di morte sia valida o meno. Essa non è respinta in assoluto: può ritenersi necessaria quando un cittadino, anche se privato della libertà, “abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la sicurezza della nazione”, cioè “quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita”, o quando di lui morte fosse il vero e unico freno del distogliere gli altri dal commettere delitti”. [...]
[...] Dal trattato Dei Delitti e delle pene Contro la pena di morte Il celebre libro del Beccaria è emblematico dello sforzo degli illuministi italiani di migliorare le condizioni generali della società promuovendo delle riforme che non potevano migliorare anche l'amministrazione della giustizia, che nel Settecento era ancora caratterizzata da pratiche crudeli, come il ricorso alla tortura per far confessare i presunti colpevoli, e la pena di morte, vista non solo come deterrente del crimine, ma anche come vendetta della società sul reo. Pertanto quello dedicato alla pena di morte è uno dei capitoli del trattato del Beccaria, il quale conduce una rigorosa analisi per capire se la pena capitale sia utile e necessaria. [...]
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