Dante Alighieri nasce a Firenze nel 1265 da Alighiero di Bellincione e da Bella degli Abati. La famiglia era benestante ed appartenente alla piccola nobiltà guelfa: ad alcune proprietà terriere si univano i profitti delle attività mercantili, messi in pericolo, però, dall'ascesa dei nuovi ceti imprenditoriali, favoriti dalle leggi corporative che impedivano alla vecchia aristocrazia fiorentina il completo controllo dei pubblici poteri. Dante rimase solo all'età di diciotto anni, per la scomparsa prima della madre, morta intorno al 1275, e dopo per quella del padre, il quale si era risposato ed aveva avuto altri due figli: Jacopo, Piero ed Antonia. Della prima formazione culturale del poeta sappiamo ben poco: probabilmente frequentò le scuole private e continuò i suoi studi apprendendo le discipline del trivio e del quadrivio che, in una città come Firenze priva di uno Studio (università), rappresentavano i massimi livelli di istruzione laica. Precoce fu la conoscenza delle letterature classiche e romanze, come pure la frequentazione dell'élite intellettuale fiorentina, da Guido Cavalcanti, che divenne uno suo caro amico, a Brunetto Latini.
[...] La notizia che il successore di Bonifacio VIII, papa Benedetto XI, aveva affidato al cardinale Niccolò da Prato il compito di riportare la pace a Firenze e di far rientrare i Bianchi esuli, lo consinse a ritornare in Toscana. Ma le speranze che Dante e gli altri esiliati avevano riposto nell'intervento del cardinale andarono presto deluse, perché il tentativo di pacificazione si risolse in un nulla di fatto. Dante restò deluso dell'atteggiamento degli altri fuoriusciti, la compagnia malvagia e scempia, che egli decise di lasciare, cominciando a far per se stesso. Poco dopo, nel luglio 1304, il tentativo dei Bianchi fuoriusciti di rientrare con la forza in Firenze fallì definitivamente con la loro sconfitta nella battaglia della Lastra. [...]
[...] Ontologia e semiotica in Dante dal “Convivio” al vulgari eloquentia”, Raffi Alessandro Rubbettino; Il vulgari eloquentia”. Storia delle varie interpretazioni e dottrina principale, Vivaldi Vincenzo Calabria letteraria; Impero e Stato di diritto. [...]
[...] Dante affronta l'argomento di rilevanza sovrannazionale: la questione dell'Impero e dei rapporti di questo con la Chiesa. Il periodo di stesura dell'opera non è verificabile con esattezza, ma la maggior parte dei critici ritiene che sia da collocare negli anni della discesa in Italia dell'Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo. I temi della trattazione sono indicati da Dante all'inizio dell'opera: la definizione del concetto di monarchia universale e la sua natura politica, l'esigenza di un potere temporale, il diritto del popolo romano di conservarlo e la fonte della autorità. [...]
[...] Nel frattempo scrisse le tre ultime epistole: una rivolta ai cardinali italiani, esortandoli all'elezione di un papa italiano dopo la morte di Clemente in un'altra indirizzata ad anonimo amico fiorentino, con il quale si lamentava delle condizioni moralmente inaccettabili imposte dal decreto sull'amnistia, che subordinava il ritorno il ritorno degli esuli al pagamento di una multa ed al pubblico riconoscimento delle proprie colpe; la terza indirizzata a Cangrande della Scala è una sorta di ringraziamento per la sua generosa ospitalità; il poeta gli dedica la terza cantica della Commedia: il Paradiso. Proprio a Verona, nel 1317, Dante scrisse un trattato dal titolo De Monarchia. Verso la metà del 1318, per motivi sconosciuti, Dante si trasferì con i figli da Verona a Ravenna, alla corte di Guido Novello da Polenta, cultore di poesia. Dopo essere stato a Verona per sbrigare una delicata missione diplomatica per conto dello stesso Guido Novello, Dante si ammalò, colpito da febbri malariche. [...]
[...] Beatrice è morta ed è stata assunta in cielo. A Dante è apparsa una mirabile visione, di cui nulla, però, è detto, che lo induce ad astenersi dallo scrivere intorno a lei, definita “benedetta”, fino a quando egli non sarà in grado degnamente di trattarne. Il poeta s'impegna a raggiungere questo risultato in modo da poter “dicer di lei che mai non fue detto di alcuna”.Ella ora “gloriosamente mira nella faccia di colui qui est per omnia secula benedictus” (Dio, che è benedetto per tutti i secoli). [...]
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