Studio di Letteratura su una poesia scritta da Giovanni Pascoli intitolata "I Gattici", nella quale il poeta osserva il paesaggio autunnale che sta precipitando verso l'inverno e si ricorda della primavera.
[...] Ha sviluppato una concezione idealistica del socialismo, che si unisce paradossalmente a una visione decadente del mondo. Giovanni Pascoli è considerato come una delle figure maggiore della poesia italiana dell'Ottocento, e della poesia italiana in genere. Questo poeta è un representante del decadentismo della fine dell'Ottocento. La poesia che ho scelto viene ripresa in una raccolta che sia chiama Myricae Lettura della poesia E vi rivedo, o gattici d'argento, Brulli in questa giornata sementina: E pigra ancora la nebbia mattutina Sfuma dorata intorno ogni sarmento. [...]
[...] Autrefois ce vent vous éclosait les bourgeons Qui maintenant fait tournoyer ces feuilles jaunes Et moi qui alors au temps criai: Chemine Maintenant sens les pleurs en mon coeur tomber Maintenant, les neiges inertes sur les monts, Et les pluies lugubres, et les longues colères De la bise qui la nuit cogne les portes, Et les jours brefs qui semblent des couchants Infinis, et l'évanouissement et le défleurir Et les chrysanthèmes, la fleur de la mort Analisi e interpretazione Dal punto di vista formale, questa poesia è un sonetto dalle quale rime seguono uno schema ABBA nelle due quartine e CDE nelle due terzine. I versi sono endecasillabi, considerati come il verso più armonioso della poesia italiana. I Gattici si apre con un verbo che marca un ricordo, con la presenza immediata dell'io lirico: E vi rivedo. Il fatto che non si sa subito di cosa si parla dato che gattici d'argento viene evocato più tardi nel verso dà l'impressione che questo ricordo viene da lontano. Il ricordo si trova soltanto all'inizio della seconda strofa: Già vi schiudea le gemme questo vento. [...]
[...] L'atmosfera generale del sonetto è un atmosfera di lentezza, di routine, di ripetizione, suggerata dalle anafore di E. La lentezza è anche accentuata dall'enjambement tramonti/infiniti ai versi dodici e tredici, e dalle numerose assonanze e alliterazione come nel verso nove: nevi inerti sopra i monti. La tradizionale volta della poesia si ritrova tra la seconda quartina e la prima terzina. Dopo l'interrogazione del lettore di fronte al gocciare [del] pianto in cuor che finisce la quartina, la terzina si apre sulla raggione dei pianti. [...]
[...] L'inverno viene utilizzato come immagine della morte. Quest' allegoria nasce in grande parte dal fatto che l'autore lega i campi lessicali dei due concetti: le nevi inerti nel verso nove, le squallide piogge nel verso dieci, il vanire e lo sfiorire nel verso tredici. L'associazione culmina nell'ultimo verso nel quale i crisantemi sono definiti come fiore della morte. È l'unico posto nella poesia in cui l'allegoria viene esprimata in modo esplicito. La struttura di questa poesia di Pascoli è fortemente influenzata dall'opposizione tra primavera e autunno da una parte, e inverno dall'altra parte. [...]
[...] Rinforza ancora quest'impressione di morte. Quello climax coincide con la fine del poema e colla parola morte. La coincidenza è simptomatica per l'atmosfera dell'opera: l'immagine del tempo che ci è data è quella di un lento cammino verso la disperazione e la morte, un cammino irreversibile e inevitabile. L'io, che nella sua giovinezza voleva veder passare il tempo più velocemente (come si vede nel verso sette: E io che al tempo gridai Cammina si rende conto all'età adulta che i bei giorni sono persi per sempre, e il lettore resta sulla disperazione causata da questa situazione. [...]
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